Con una messa comunitaria programmata per il 21 settembre alle ore 11 la comunità della parrocchia di Frattocchie si prepara a salutare il parroco uscente, don Bruno Meneghini. Don Bruno ha condotto la parrocchia di Frattocchie per 21 anni, radicando profondamente sul territorio uno stile di Chiesa locale sobrio, attivo e vicino alla gente di tutte le età.

Abbiamo voluto intervistarlo per comprendere più in profondità il senso di una azione pastorale che ha incontrato consensi e anche critiche su un territorio complesso come quello di Frattocchie.

 

21 anni nella Parrocchia di Frattocchie sono davvero tanti: qual è, don Bruno, la linea pastorale che ha seguito in questi anni?

21 anni, vuol dire che un ragazzo di 8-10 anni che ho incontrato per la prima volta, appena arrivato, ora ha trent’anni. Da bambino ad adolescente a giovane, alle soglie del matrimonio, tutto il periodo della sua crescita. Ho cercato di impostare la mia azione pastorale su questa età, guardando sia il suo sviluppo umano che religioso, più umano che religioso aggiungo, ritenendo che senza un fondamento umano non si costruisce nessuna adesione concreta di fede. Da qui è nato l’oratorio e insieme il doposcuola, iniziative di musica, di cultura sia per i giovani che per gli adulti, con tutte le risorse che ho potuto investire.

 

 Cosa è cambiato a Frattocchie dal punto di vista religioso in questo ultimo ventennio?

Sono presenti e attive persone di grande potenzialità che hanno saputo promuovere attività di grosso calibro di promozione sociale e religiosa. Non credo comunque che sia stato possibile far partire un vero rinnovamento della parrocchia nel suo insieme. Permangono resistenze dovute a pregiudizi ma soprattutto ad un tipo di religiosità tradizionale. Ora dovrebbe esserci una azione più diffusa da coinvolgere tutta la popolazione, ma questo vedo anche da me, risulta difficile. Siamo ancora lievito che non ha fermentato del tutto la massa. E’ un processo lento, ostacolato non solo all’interno ma soprattutto dal di fuori, da quello che si respira nella società e nella chiesa di oggi.

 

Come si è posta la sua parrocchia nei riguardi dei temi sociali e del disagio in vari ambiti crescente che si osserva sul territorio?

L’attenzione a questi temi è stata costante, favorita anche da persone sensibili che erano presenti nella comunità, e di questo ne sono molto grato. D’altra parte non si poteva non vedere, tanti sono i bisogni che si manifestano in un territorio in continua crescita e con forti disuguaglianze. Ho cercato di interessare le istituzioni, ma con scarsi risultati. Sono convinto che una risposta comunque deve essere data dalla comunità cristiana, autonomamente, come sua specifica missione di andare incontro al fratello e ai fratelli bisognosi.

 

Lei è ricordato da molti degli anni sessanta per l’introduzione nelle sue parrocchie della musica allora detta “beat” con gli strumenti amplificati e la batteria: anche a Frattocchie la musica ha rivestito per Lei il ruolo di strumento di evangelizzazione e socializzazione?

Sono stato ordinato sacerdote negli anni 60 vivendo in presa diretta il Concilio Vaticano II e il sessantotto, ad Aprilia, come animatore dei giovani. Posso dire che la mia scuola di vita è stata l’applicazione sul campo di questi due eventi che hanno cambiato la società civile e religiosa e me naturalmente. Tutto il mio sacerdozio fino ad oggi si è forgiato in quegli anni. Non solo la musica ma tutta la chiesa nella sua azione si era avvicinata alla società, camminava insieme. Per tutti cito don Milani della scuola di Barbiana, che se fosse per me lo vorrei santo subito.

 

Quale ritiene siano i risultati più significativi da Lei ottenuti in questi 21 anni?

Per me i risultati non sono quantificabili, sarà il tempo e come questa comunità saprà continuare in questa direzione mostrare dei risultati. C’era bisogno di seminare, altri raccoglieranno.

 

Ci sono rimpianti di cose che avrebbe voluto fare e che non è riuscito a realizzare? E di cosa si tratta?

In questi ultimi anni in parrocchia si è avviato la catechesi familiare, nella preparazione ai sacramenti della iniziazione cristiana. Se ne parla da sempre nella chiesa italiana, di dare maggior spazio all’opera educativa dei genitori per i propri figli. Persiste ancora una certa sfiducia di affidare ai genitori questo compito loro proprio. Pensa la chiesa che a una coppia di divorziati che chiede questi sacramenti per il figlio non sia sufficientemente idoneo a parlare del Vangelo. Sono una contro testimonianza.

 

Che idea di Parrocchia ha oggi don Bruno e che indicazione le piacerebbe lasciare ai Parroci del territorio dei Castelli Romani?

Ho da sempre parlato delle mie iniziative sia a livello vicariale, sia a livello diocesano. Anche qui ritengo che ci vuole tempo per vincere resistenze. Se da una parte mi sentivo una voce nel deserto, dall’altra parte ho avuto ascolto, solo ascolto e soprattutto stima e considerazione da parte dei miei confratelli. Sanno che la nostra comunità ha preso un indirizzo per molti aspetti nuovi.

 

A cura di Marco Carbonelli